Durante l’incontro con l’ambasciatore d’Italia Stefano Sannino si sono affrontate tematiche irrisolte per i connazionali in Spagna (come centralità delle istituzioni e loro scarsa presenza sul territorio) ma anche questioni nuove, di sicuro interesse. Il capo missione, nato a Portici (Napoli), il 24 dicembre 1959, arrivato a Madrid proprio il giorno dopo il terribile incidente a Tarragona del 20 marzo scorso nel quale persero la vita tredici studentesse Erasmus (sette delle quali italiane), è persona aperta, disponibile, affatto “ingessata”.Per sedici anni ha lavorato presso la Comunità europea a Bruxelles, dal 2013 è stato rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea fino alla sostituzione nel dicembre scorso, voluta dal presidente del consiglio Matteo Renzi. A gennaio la nuova nomina ad ambasciatore in Spagna. Sannino è stato intervistato a luglio dal Mundo (qui l’articolo) e le banalità della giornalista, i luoghi comuni utilizzati, le espressioni irriguardose hanno suscitato lo sdegno di molti connazionali.Ecco di seguito la mia intervista.
Ambasciatore, lei si è insediato lo scorso 21 marzo e da quasi un anno la Spagna è senza governo. Una situazione quantomeno imbarazzante sul fronte diplomatico e dei rapporti economici.
«Certo, è una situazione politica molto complessa, non credo che gli spagnoli si aspettassero una tale difficoltà nel gestire questa crisi. Il problema non è tanto mio ma del Paese, perché una serie di questioni che si stanno accumulando non possono essere affrontate con la determinazione e la forza che ha un governo nella pienezza dei sui poteri».
Cosa fa un capo missione in un Paese estero, il cui Parlamento da nove mesi non ha approvato nemmeno una legge e dove si è in continua campagna elettorale?
«Il lavoro di un capo missione è fatto di tante cose. Certamente la componente politica soffre di questa situazione, non c’è quella continuità di rapporto politico che normalmente esiste tra due Paesi vicini e amici come sono Italia e Spagna. Questo non significa che non possa o non debba fare altre cose, al di là dell’attività tradizionale di sostegno alla struttura consolare e di molto altro ancora. Con miei colleghi, per esempio, stiamo cercando di avvicinare ulteriormente la società italiana a quella spagnola, immaginando un “ponte” ideale tra il nuovo in Spagna e il nuovo in Italia. In questo sforzo coinvolgiamo anche delle forze esterne, italiani che vivono e lavorano qui da molti anni, radicati sul territorio ma che non hanno perso la loro italianità, che ci possono aiutare a vedere cose, a immaginare percorsi che noi non riusciamo a scorgere che intendiamo sviluppare nei prossimi mesi. Abbiamo iniziato a lavorare su alcuni settori, in particolare quello del nuovo made in Italy. Il fatto che l’attività politica sia ridotta ci permette di ragionare con più calma su queste e altre tematiche».
Crede che sarà individuato un nuovo candidato premier entro il 31 ottobre o è più realistica la possibilità che gli spagnoli tornino per la terza volta alle urne?
«Non mi sento di fare previsioni, spero si arrivi rapidamente a concludere questa fase di passaggio dal bipartitismo alla presenza di più forze politiche in campo, quindi a un equilibrio diverso. Il Paese ha tanta energia, tanta passione, tanto bisogno di un governo stabile. Lo dico venendo dall’Italia che purtroppo ha cambiato molti governi e dove la stabilità politica, la stabilità governativa non sono un optional».
Come mai non c’è un suo messaggio ai connazionali in Spagna sulla pagina web dell’Ambasciata, nello spazio dedicato?
«È una buona domanda. Le spiego perché. Non mi è mai piaciuto essere banale e raccontare cose che già sappiamo tutti. Vorrei poter rispondere, attraverso questo messaggio sul sito, a una domanda che mi era stata fatta pochi giorni dopo il mio arrivo a Madrid. Mi chiesero: “Ma infondo a cosa serve un’ambasciata bilaterale in un Paese europeo? Basterebbe un consolato”. Era come dirmi che sono inutile. Poi ho pensato che invece era una buona occasione per riflettere sul valore aggiunto di un ambasciatore oggi, in un Paese europeo dove i legami politici vanno quasi per i fatti loro, dove molti contatti avvengono direttamente tra ministri o direttori di ministeri che si vedono regolarmente a Bruxelles, tra imprenditori che si muovono e s’incontrano autonomamente nei due Paesi, senza il tramite di ambasciate. La provocazione è così diventata occasione per ripensare il ruolo di un ambasciatore oggi: al di là di essere un buon manager, di gestire le risorse e la presenza sul territorio, qual è il valore aggiunto che io posso mettere?
Sarà a breve questo messaggio?
«Spero di sì. Tenga conto che anche il ministero degli Esteri deve inventarsi un suo nuovo ruolo rispetto a alla centralità pressoché assoluta che aveva anni fa, quando poche altre realtà avevano un profilo internazionale e fuori dai confini italiani si occupava anche dei settori più tecnici, non solo di politica estera».
Cosa risponde alla petizione lanciata da molti italiani residenti nelle Canarie, sull’inefficienza del consolato onorario di Tenerife gestito da Silvio Pelizzolo, che dallo scorso novembre è anche rappresentante territoriale della Camera di commercio italiana in Spagna?
«Ci sono varie questioni, vari aspetti. Il primo, che può sembrare una banalità, è che le Canarie sono isolate, quasi un microcosmo dove tutto si amplifica. C’è una presenza della collettività italiana molto significativa, molto cresciuta negli ultimi anni, molto complessa, c’è anche delinquenza. Ho incontrato Pelizzolo, mi sembra persona che sta cercando di fare del suo meglio. Lei sa che i consoli onorari svolgono altre attività, lavorano per i connazionali in condizioni non facilissime, con un contributo molto limitato. Molte volte sono quasi attività di benevolato».
Però ci sono segnalazioni puntuali di disagio. E non si può chiamare Madrid per problemi alle Canarie.
«Ci sono anche apprezzamenti per il lavoro che viene fatto. Non voglio fare accuse o difese. I servizi sono migliorabili purtroppo solo attraverso maggiori risorse umane e finanziarie. Come ambasciata ci stiamo chiedendo se sia il caso di rafforzare la presenza in loco, cioè con un vero consolato di carriera e stiamo preparando una relazione da inviare a Roma. Anche a me piacerebbe chiamare un consolato e sentire una persona che ti risponde, anziché un disco. Purtroppo i tagli ci sono stati e non si può fare diversamente. Capisco perfettamente le esigenze ma non è facile, siamo una fase dove soprattutto in Europa i consolati si chiudono e non se ne aprono di nuovi. Saremmo in controtendenza».
Stava meglio a Bruxelles, pur con l’aria che tira, o adesso a Madrid?
«Ho molto amato il mio lavoro a Bruxelles, l’esperienza europea è stata fantastica. Mi piace molto il lavoro qui a Madrid, penso anzi spero di riuscire a fare qualche cosa di buono e di utile come è accaduto presso la Comunità europea dove ho lavorato per 16 anni».
Sarebbe comunque rimasto a ricoprire l’incarico che svolgeva, se non ci fosse stato l’intervento del premier Renzi che l’ha sostituita?
«Sono venuto a Madrid con convinzione e non come un ripiego. In quanto funzionario europeo oltre che italiano, se avessi voluto rimanere a Bruxelles l’avrei fatto restando in Commissione. Ho fatto una valutazione e ho scelto di venire qua per fare un’esperienza diversa, bilaterale, in un Paese che mi piace molto e che conosco abbastanza bene».
Gli spagnoli amano l’Italia ma ne sono anche fortemente invidiosi. Quali iniziative prevede per ampliare e rafforzare i rapporti commerciali, turistici e culturali tra i due Paesi?
«Non so se sono invidiosi. Italia e Spagna sono due Paesi molto vicini per cultura e per radici, dico spesso che il mare unisce e non separa. Le sensibilità dei due Paesi sono vicine e complementari; l’Italia è molto più “rotonda”, siamo stati abituati nei secoli a trovare intese, accordi. La Spagna è più spigolosa, più da principi e non da compromessi, forse per questo i due Paesi si guardano con attrazione da un lato e meno comprensione dall’altro. Credo, ed è quello che sto cercando di fare, che si possano costruire dei modelli nei vari settori, sui punti di forza reciproci, sulla capacità innovativa delle due parti e sulla capacità di contaminarsi, migliorando. A volte noi italiani e gli spagnoli diamo troppo per scontato che vada tutto bene, che ci conosciamo, che parliamo la stessa lingua così facciamo meno sforzo per alimentare i rapporti, per ravvivarli. Quando ti conosci meglio passa anche il sentimento dell’invidia».
Il terremoto nel centro Italia e le iniziative di solidarietà anche qui in Spagna, da Valencia AMAtriciana agli aiuti da Barcellona alle imprese di Amatrice, senza dimenticare le adesioni delle nostre Camere di commercio a #unfuturoperamatrice. Come mai a Madrid non è stata ancora promossa una campagna solidale attraverso eventi di grande richiamo?
«Lo stiamo preparando, sarà un evento italiano ai primi di ottobre, una giornata presso la Scuola italiana dove verrà organizzato uno spazio per ricordare e per raccogliere fondi».
Non trova strano che il vice console italiano di Málaga, Francisco Javier Cremades, pochi giorni dopo il terremoto abbia partecipato a “un minuto di silenzio” con il sindaco della città, senza partecipazione della comunità italiana? Meglio la Messa organizzata per i connazionali a Las Palmas.
«Queste cose hanno più un valore simbolico, è un modo con cui la città, le autorità danno un segno di rispetto per quello che è successo».
Perdoni la domanda: in questi anni ho conosciuto cinque ambasciatori diversi e altrettanti direttori di Istituti italiani di cultura, sia a Madrid sia a Barcellona. Il loro proposito iniziale era sempre il medesimo, muoversi su tutto il territorio (Canarie e Baleari incluse), per coinvolgere il maggior numero possibile di connazionali in iniziative di comune interesse. Non credo che gli scarsi risultati ottenuti siano dovuti solo ai tagli finanziari. Gli sponsor si trovano per le attività più diverse, non solo per i concerti.
«Capisco che la centralizzazione è forte e che le realtà territoriali dove essere presenti sono tante. Sto cercando di andare in giro il più possibile, di conoscere i connazionali, le istituzioni come penso abbiano fatto i miei colleghi, ma è evidente che la quotidianità è qui. Però devo dire però che ormai le collettività italiane sono, nella stragrande maggioranza dei casi, perfettamente integrate».
Ambasciatore, non sono sole le necessità pratiche, seppure importanti, legate al rilascio o rinnovo di documenti. Bisognerebbe rivedere il ruolo delle istituzioni nei confronti degli italiani all’estero: dovrebbero essere antenne sul territorio sensibili, dinamiche, attente a esigenze che hanno bisogno di risposte rapide, al passo con i tempi. Istituzioni capaci di fare rete, di fare sistema con associazioni, università, centri di ricerca e attivi sul sociale.
«Sono d’accordo con lei, l’idea è di trasformare sempre di più le antenne consolari in uffici polivalenti però anche qui torniamo al discorso iniziale: dovremmo avere persone dedicate al cento per cento e con risorse finanziarie sufficienti».
Roma e Napoli, la sua città. Impossibile governarle o politici e amministratori ricadono negli stessi vizi ed errori?
«Sono città grandi, difficili, con problemi complessi e capisco che non sia facile risolverli in maniera immediata. Tra sindaco e cittadino che paga le tasse non ci sono mediazioni. Da un lato c’è la complessità della gestione della macchina amministrativa comunale, dall’altro la politica che dovrebbe avere il senso del servizio da rendere».
Il mondo diplomatico rimane ostile alle unioni civili?
«Non ho mai incontrato ostilità, anzi. Il nostro ministero degli Esteri è stato quasi pionieristico nel riconoscere le coppie di fatto. Ho sempre vissuto la mia omosessualità con naturalezza grazie anche ai molti anni presso la Comunità europea che è un contesto estremamente favorevole. La Spagna è molto avanti anche nelle piccole cose: qui si dice “il signore (o la signora) e accompagnante”, uomo o donna che sia. Sarebbe importante non dover più parlare di omosessualità, perché quello che conta è la persona. Non c’è dubbio che l’Italia debba fare ancora un percorso molto lungo. In Spagna sto cercando di lavorare con le associazioni sui temi dell’omofobia e per favorire l’accettazione sociale dei transessuali, sia italiani sia spagnoli sia latinoamericani, attraverso anche il loro inserimento nel mondo del lavoro».
C’è già stata qualche assunzione?
«Non ancora. Ma è stato avviato il percorso e sto trovando una risposta estremamente positiva presso le imprese e le istituzioni italiane a Madrid. Sto cercando anche di capire le esigenze dei giovani omosessuali, che devono essere aiutati nel percorso di affermazione della propria personalità superando la barriera di accettazione in ambito familiare, scolastico, sociale. Le iniziative concrete servono per aiutare la gente ad assumere il concetto che la diversità è ricchezza».
Patrizia Floder Reitter
Complimenti per l articolo finalmente argomenti seri . Non sono molto soddisfatto sulle risposte : vedi consolato, ma vedi anche il lavoro del Comités. Penso sia ancora prematuro che il dr. Sannino posso individuare le molteplici problematiche della periferia , visto il suo insediamento da poco tempo.
Complimenti pero l intervista!