“La Spagna di Rajoy” a cura di A. Botti e B. N. Field

Osannato durante il suo primo mandato come nuovo punto di riferimento della socialdemocrazia europea per il suo aggressivo laicismo e per i conseguenti  dissapori con la chiesa (in questo libro analizzati nel saggio di Mireno Berrettini), José Luis Rodríguez Zapatero, nel suo secondo mandato da primo ministro, ha talmente delusogli elettori che il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) è andato incontro a un ridimensionamento di portata epocale in occasione delle elezioni del 20 novembre 2011. Ma Mariano Rajoy, salutato come il risuscitatore del Partito popolare, è a sua volta quasi subito precipitato in una grave crisi di credibilità, tra crisi economica che continua e scandali che si sono abbattuti su di lui e sulla sua formazione politica, oltre che sulla stessa dinastia. Sebbene questo volume collettaneo dell’Istituto Cattaneo, edito nella serie “Elezioni, governi, democrazia”, abbia un carattere di routine, in pratica si trasforma in un’analisi attualissima sulla crisi di un modello politico e economico che anche in Italia è stato considerato incautamente un modello da imitare. “La Spagna non rappresenta più una storia di successo, anzi è diventato il malato d’Europa”, ricordano Oscar Molina e Alejandro Godino nel comparare le riforme economiche sul mercato del lavoro a un’“interminabile fase di Zapatero nel deserto”. Uno Zapatero su cui Kerstin Hamann, a proposito del suo rapporto con i sindacati, nota che è passato “dai patti sociali allo sciopero generale”. Secondo Celia Valente, nel passare dal primo al secondo mandato anche il policy-making sull’uguaglianza di genere di Zapatero ha perso di slancio (forse non funzionava più come arma di distrazione di massa?). Certamente, la Spagna ha un modello di premierato che, basato anche sulla maggioranza relativa, ha favorito la governabilità, come evidenzia Bonnie N. Field trattando del governo di minoranza in tempo di crisi. Sempre la Field e Alfonso Botti osservano, nell’introduzione, che “la disaffezione per la politica dei cittadini spagnoli suggerisce l’esistenza di gravi problemi per la democrazia”. “Ciò che viene imputato a Zapatero e al suo esecutivo”, aggiunge Anna Bosco, parlando del Psoe e della fine dell’era Zapatero, “non è l’incapacità di risolvere i problemi economici, quanto il modo in cui li ha affrontati”. Ma “le elezioni del 20 novembre 2011”, spiega Alfonso Botti parlando del Partito popolare di Rajoy, “hanno confermato quella che appare ormai come una regola della democrazia spagnola e cioè che l’alternanza si produce più per i demeriti dei partiti al governo che per la capacità dell’opposizione di presentare proprie alternative in grado di convincere gli elettori”. César Colino illustra come questa crisi della politica sia anche una crisi del particolare modello spagnolo di stato delle autonomie, in tempo di grave recessione considerato ormai troppo dispendioso: anche se comunque il paese sta incassando la finale vittoria nella annosa guerra contro il terrorismo dell’Eta. Il governo Zapatero, nella ricostruzione di Carmelo Adagio, è finito in mezzo alle proteste giovanili. Ma il movimento degli “indignati” rifiuta tutta la classe politica esistente, e lo stesso bipartitismo. Nelle conclusioni, tuttavia, Botti e la Field fanno notare alcuni dati positivi: la già citata vittoria sul terrorismo; il modo in cui l’immigrazione e la crisi non hanno suscitato rigurgiti xenofobi; un più generale livello di capacità di gestione di dossier critici per tutta l’Europa che, forse per reazione agli antichi demoni del paese, tra Inquisizione e feroci guerre civili, è oggi tra i più efficienti dell’Unione. Insomma, “persino in un’epoca di incertezze come quella attuale, non tutto quello che viene dall’altro lato dei Pirenei è causa di preoccupazione”. Il Mulino, 224 pp., 19 euro (fonte: Il Foglio)

 

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