La reputazione online non è una priorità degli italiani. Lo si intuisce andando a scandagliare i primi dati sulle richieste di diritto all’oblio ricevute da Google, che vedono il nostro Paese posizionarsi al quinto posto in Europa, dietro a Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Ma andiamo con ordine. Dal 31 maggio scorso, come riportato più volte su queste colonne, Google ha messo a disposizione degli utenti un modulo per consentire ai cittadini europei di richiedere la rimozione di link che contengono informazioni personali “inadeguate o non rilevanti”. Il tutto dopo una sentenza della Corte Europea che di fatto imponeva a Big G di rispettare il diritto all’oblio degli utenti.Dal giorno della messa online del form di richiesta fino al 30 giugno scorso Google ha ricevuto oltre 70mila richieste. Un numero importante, aggravato da un particolare fin qui sconosciuto. Ogni richiesta contiene al suo interno una media di 3,8 link da rimuovere, per un totale di circa 270mila url (267.550 per la precisione) da verificare ed eventualmente rimuovere. Al primo posto fra i Paesi da dove sono giunte più richieste si è posizionata la Francia, con 14mila domande inviate. Poi, a ruota, la Germania, il Regno Unito, la Spagna e l’Italia, che completa la top five con un numero di richieste che nei primi 30 giorni si è attestato a 5.934. Quasi sei mila italiani, insomma, hanno sentito la necessità di rivolgersi a Google per far sparire dal motore di ricerca alcuni link che li riguardano. Le 5.934 richieste provenienti dall’Italia riguardano 23.321 url. Ovviamente Google provvederà a rimuovere i link che ledono il diritto all’oblio, mentre respingerà le domande non valide. A causa di un articolo comparso sul sito della Bbc a firma di Robert Peston nelle ultime ore si è scatenata, soprattutto sui social network, una caccia a Stan O’Neal, ignaro banchiere di Wall Street. O’Neal, suo malgrado, era l’oggetto del pezzo firmato da Peston. Pezzo che, come ha riferito lo stesso columnist della Bbc, è finito nelle mire di Google perché lesivo del diritto all’oblio. Su Twitter il post è stato postato da migliaia di utenti, con tanto di insulti verso O’Neal. E subito si è parlato di effetto boomerang, di come il diritto all’oblio sia un’arma a doppio taglio. Peccato che O’Neal, come ha fatto notare Peston in un update del suo post, non c’entri proprio nulla. Perché da una verifica fatta dal giornalista il suo articolo è ancora rintracciabile su Google cercando la parola “Stan O’Neal”. Ergo: O’Neal non si è rivolto a Google per rimuovere il link. Ad aver fatto richiesta di cancellazione, allora, è molto probabile che sia stato un utente diffamato nei commenti al post. Una tempesta in un bicchier d’acqua, dunque. Capita anche questo, perché anche questa è la Rete. (fonte: Il Sole 24 Ore)