È un esercito di aspiranti jihadisti. Partiti dai Paesi europei alla volta di Siria e Iraq con un preciso intento, arruolarsi nelle file dei gruppi estremisti. Diversi sono caduti sul fronte, in molti sono rimasti nelle aride piane assolate controllate dall’Isis, ma non pochi sono rientrati. E sono proprio questi, i retournés, a far paura. Impregnati di un cieco fanatismo, indottrinati all’intolleranza, ma anche addestrati militarmente nei campi degli estremisti, sono capaci di tutto, anche di atti efferati contro chiunque, a loro avviso, metta in discussione la rigidissima versione dell’Islam che hanno eletto a pilastro della loro vita. Il loro numero è impressionante e senza precedenti nei passati conflitti: più di 3mila europei partiti per la Siria e arruolatisi nelle file dell’Isis (numero che include anche chi è deceduto e chi è rientrato) aveva annunciato a fine settembre il coordinatore europeo contro il terrorismo, Guilles De Kerchove. Ma quali sono gli Stati con più aspiranti jihadisti arruolatisi nelle file dei gruppi estremisti siriani (il 90% finisce nell’Isis)? Il primo è la Francia e forse non stupisce più di tanto: Perché un paese con una tradizione coloniale, con solidi legami con Tunisia e Algeria, e soprattutto perché ospita la più grande comunità musulmana in Europa. Ma, ancora una volta, stupisce l’ampiezza del loro numero: oltre mille jihadisti. Tra di loro c’era anche Mehdi Nemmouche. Si unì alle milizie siriane dell’Isis, vi restò un anno a combattere, e una volta rientrato in Francia, l’anno scorso, ha messo in atto il suo folle gesto: parte per Bruxelles dove uccide quattro persone dentro al museo ebraico. La seconda fucina di aspiranti miliziani decisi a combattere per lo Stato islamico è il Regno Unito, con 750 persone. La terza fabbrica europea di jihadisti è invece la Germania, paese scosso negli scorsi giorni da manifestazioni xenofobe e antiislamiche senza precedenti. Sarebbero 600 i cittadini tedeschi arruolatisi nello Stato islamico; 60 hanno perso la vita e addirittura 180 sono rientrati, ha precisato in dicembre Thomas de Maizière, ministro degli Interni tedesco, aggiungendo che le autorità hanno già mosso azioni legali nei confronti di alcuni di loro, mentre altri sono sotto strettissima sorveglianza. Ma il dato che sorprende di più riguarda un Paese piccolo, per quanto ricco e con un solido passate coloniale; il Belgio, 400 partenze. Dalla vicina Olanda sono comunque 120. Anche i paesi scandinavi hanno dato il loro contributo: cento jihadisti partiti dalla Danimarca, 50 dalla Finlandia, un numero simile anche dalla Norvegia e 300 dalla Svezia. Perfino dalla piccola Svizzera ne sono partiti 40-50. E altri 20 dal Portogallo, in questo caso tutti portoghesi, e non di origine araba, provenienti da famiglie cattoliche e convertitisi all’Islam. En España, el responsable de Interior ha señalado que habría uno s 70 desplazados, de los cuales habrían vuelto diez. En torno a la “mitad” de ellos, estaría ya en prisión. Sin embargo Fernández Díaz reconoce que una sola persona “es ya un riesgo potencial”. Según publica el diario El Mundo, fuentes de la lucha antiterrorista habrían asegurado que tanto la Policía Nacional como la Guardia Civil han reforzado la vigilancia sobre casi un centenar de islamistas radicales asentados en España después de los últimos acontecimientos. A pesar de que ya estaban vigilados, se ha aumentado la atención. Un fenomeno europeo, eppure poco italiano. Perché dal nostro Paese sarebbero partiti in poco più di 50, e peraltro quasi nessuno sarebbe cittadino italiano. Le ragione la conosce bene Lorenzo Vidino, autore di un e-book – Il jihadismo autoctono in Italia – pubblicato dall’Ispi. «In Italia il flusso di radicalizzati non coinvolge immigrati musulmani di prima generazione, soprattutto perché sono arrivati qui con 10-20 anni di ritardo rispetto ai Paesi dell’Europa centro-settentrionale. Per cui il fenomeno dei giovani di seconda-terza generazione è ancora marginale. Così come quello dei cosiddetti facilitatori, i mediatori che li mettono concretamente in contatto con l’Isis». Il punto più problematico per contrastare il fenomeno è quello normativo. Quasi nessun paese europeo prevede misure legali forti contro chi è partito a combattere per l’Isis, a meno di prove inconfutabili. Alla maggior parte di coloro che sono rientrati in Germania è stato sequestrato il passaporto, ed è stata ristretta la libertà di movimento. Ma nulla di più. E non basta. Così il ministro tedesco degli Interni si è augurato che il Parlamento ratifichi quanto prima la legge che revoca la cittadinanza tedesca a coloro che hanno partecipato alla jihad. Questi i retournés. Ma c’è anche una nuova minaccia. Ancor più pericolosa, perché meno prevedibile. Sono i lupi solitari, i cani sciolti, cittadini dei Paesi europei, con tanto di passaporto, indottrinati dal fanatismo attraverso la rete. Pericolosi “dilettanti”. Sicuramente meno letali militarmente rispetto agli attentatori di Parigi, però disposti a emulare i crimini efferati dell’Isis. E quasi invisibili per le intelligence dei paesi occidentali. Ma questa è un’altra storia. (fonte: Il Sole 24Ore e Euractiv.es)