La nuova banconota ha il volto della Dea Europa, la firma di Mario Draghi e la carta della Fedrigoni di Verona. Che rifornisce i forzieri di India e Indonesia di rupie e la Cina di yuan, ragion per cui lo stabilimento di Fabriano non chiude per ferie. Da sempre radicata in Veneto, la Fedrigoni ha da poco compiuto 125 anni. Un azionariato familiare al 100% in mano all’omonima famiglia – dopo un tentativo di quotazione nel 2011 “congelato” causa crisi dei listini – e oggi un gruppo che conta numerosi stabilimenti tra Italia, Spagna e Brasile, più di 2.150 dipendenti (di cui 1.500 circa in Italia) focalizzato soprattutto in nicchie redditizie di carte “speciali”. Escono da Fabriano – marchio acquisito nel 2002 per 45 milioni di euro più i debiti da 120 milioni accumulati dalla cartiera marchigiana – carte grafiche speciali e da disegno di alta qualità (di cui è leader in Europa), imballaggi per profumi di griffe e alimenti. È di Fedrigoni la carta per stampare gli euro prodotti in Italia dalla Zecca (100% del mercato italiano), le lire turche (la quota in Europa delle carte di sicurezza è del 10%), rupie e yuan così come molte delle etichette adesive sulle bottiglie di vino e champagne. Tanto che il fatturato estero costituisce oltre il 60% dei 788 milioni di euro 2012 (ma le stime 2013 vedono un traguardo di 830 milioni), mentre l’Ebitda del Gruppo si è attestata a 88,2 milioni di euro (+4,4% rispetto al dato 2011, che era di 84,5 milioni) con un’incidenza di circa 11% sul fatturato. «Nel 2002 – spiega l’amministratore delegato, Claudio Alfonsi – quando abbiamo acquisito le Cartiere Miliani Fabriano dal Poligrafico dello Stato il nostro turn over era di 334 milioni. Nel 2012 è stato di 789 milioni. Abbiamo avuto una crescita media annua dell’8,2 per cento. Le vendite in Italia sono rimaste pressoché stabili e in dieci anni abbiamo incrementato le vendite sui mercati mondiali all’incirca del 300 per cento. A giugno 2013 la quota export ha raggiunto il 62% dei ricavi. Una crescita trainata soprattutto dalle carte grafiche e dai prodotti autoadesivi». «Negli ultimi anni siamo cresciuti del 15% in Europa – ha aggiunto ancora Alfonsi – grazie a una politica di distribuzione autonoma che azzera gli intermediari per aumentare al massimo i margini sui volumi, mentre cresce a ritmi del 15-20% l’anno lo stabilimento produttivo di Girona (Spagna) che produce etichette per vini e soprattutto champagne francese. A San Paolo del Brasile realizziamo etichette per soddisfare la domanda di Centro e Sudamerica. A Hong Kong e Shangai abbiamo invece sedi commerciali». Pochi debiti e investimenti in crescita in settori specializzati hanno portato quasi alla quotazione a Piazza Affari, due anni fa, poi fermata dalla crisi e dagli spread. «Valuteremo se riprendere in mano il capitolo quotazione nei prossimi anni – ha spiegato ancora Alfonsi – ma non ci siamo dati una scadenza precisa nè è certo quale Piazza finanziaria sceglieremo». Intanto Ricerca e Sviluppo assorbono il 2% del fatturato. «Non abbiamo grandi centri ricerche – ha sottolineato Alfonsi – ma laboratori in più stabilimenti per la ricerca applicata e l’approccio è quello pratico per rispondere alle esigenze del cliente e trovare una soluzione “tecnologica” applicabile alla carta. È avvenuto in passato con HP per la produzione di carta per la stampa digitale compatibile con inchiostri speciali. L’evoluzione avviene oggi anche nelle carte speciali (banconote, assegni, passaporti) dove le autorità statali ed europee richiedono sempre più sofisticate soluzioni anticontraffazione». Tra le monete meno sottoposte alla tecnologia anticontraffazione c’è il dollaro statunitense. Ma nei prosismi 5 anni è proprio negli Usa che Fedrigoni punta a crescere. «Sicuramente sono già un mercato in cui stiamo aumentando i volumi – ha concluso Alfonsi – ma vorremmo avere maggiore posizionamento. Magari attraverso possibili acquisizioni. Con 151 milioni di indebitamento e un ebitda a 100 milioni, nell’arco di 2 anni, senza ulteriori investimenti, l’indebitamento tenderà ad azzerarsi e nei prossimi anni possiamo pensare ad acquisizioni autofinanziandoci». (fonte: Il Sole 24 Ore)