Secondo uno studio diffuso dall’Uami (l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato interno) e l’Europol, il mercato dei falsi sottrae all’Europa 10 miliardi di euro di “ricchezza” legale e più di 185mila posti di lavoro. Si stima che il mercato dei beni “falsi”, pericolosi, nocivi o prodotti sfruttando il lavoro nero, minorile e senza rispettare le leggi sulla sicurezza e sull’ambiente abbiano superato i 250 miliardi di dollari l’anno, pari al Pil di 150 economie del pianeta. La ricerca Uami/Europol evidenzia come sia in aumento la produzione domestica di merce contraffatta, ovvero all’interno dei Paesi Ue, soprattutto in Belgio, nella Repubblica Ceca, Italia, Polonia, Portogallo, Spagna e Regno Unito. Una produzione nazionale su larga scala di prodotti contraffatti che si salda con gli interessi delle organizzazioni della criminalità organizzata sempre più diffuse capillarmente in Europa (dalla criminalità cinese radicata nel nord Italia e in Spagna, alla camorra, sino alle mafie balcaniche). Solo il commercio online dei prodotti agroalimentari italiani vale, oggi, oltre 1 miliardo di euro e le stime sono che quintuplichi nei prossimi 5 anni. L’anno scorso è stata
sequestrata merce per un valore di 50 milioni di euro. Secondo il Centro ricerche internazionali sulla contraffazione farmaceutica, un investimento di 1000 dollari genera ricavi per 20mila dollari con il traffico di eroina, per 43mila dollari con lo smercio di sigarette di contrabbando, ma ben 500mila dollari con la vendita di farmaci illegali. L’Interpol valuta che il giro d’affari annuo derivante solo dai farmaci illegali sia di circa 75 miliardi di dollari. Secondo lo studio Uami/Europol, la Cina è il Paese di provenienza di oltre il 73% dei
prodotti sequestrati perché presunti falsi. Ma non è solo una questione di produzione. Il colosso cinese della logistica marittima, Cosco, che da 35 anni ha un contratto per la gestire il terminal “ dello scalo container greco del Pireo, da 2 anni detiene anche
le operazioni sul molo numero tre. Nel porto di Anversa 3 container su 4 sono scaricati da società cinesi. Questo favorisce l’approdo delle merci. Sia quelle legali sia quelle illegali. Ma se la priorità della Commissione Ue è monitorare la merce proveniente dalla Cina, sono anche altri i Paesi dove sta crescendo una “specializzazione” sul fronte della produzione di beni contraffatti. Ad esempio, l’India sulla farmaceutica, la Turchia e l’Egitto sulla contraffazione alimentare e la Turchia su profumi e cosmetici. Oltre ai prodotti per il corpo e alla cosmesi, la Cina è, invece, sempre un punto di riferimento – per Bruxelles – per la contraffazione di cellulari e relativi ricambi, memory cards, apparecchiature elettroniche in genere. Un effetto moltiplicatore della distribuzione di beni “fake” ce l’hanno (involontariamente) Internet e la diffusione dell’e-commerce. I consumatori sono attratti dai siti di e-commerce per via dei prezzi, della disponibilità 24/7 e della consegna diretta. Alcuni siti web sono di
qualità così elevata che equivalgono a quelli dei titolari di diritti. I contraffattori sono in grado di agire tra molteplici giurisdizioni, eludendo la cattura; sono inoltre in grado di rimuovere e creare nuovi siti web nell’arco di una notte, senza perdere la loro base di clienti. Due sono i problemi. Da un lato, la difficoltà di rintracciare la filiera. Uno “spam –invito” che parte dalla Russia tramite un server cinese, con pagamenti processati in Australia e merce spedita dagli Usa. Spesso in piccoli pacchetti e confezioni che non riescono ad essere filtrati e bloccati in dogana. Dall’altro, gli introiti pubblicitari. Spesso grandi marchi e aziende note, che utilizzano (del tutto legalmente) provider specializzati nella pubblicità su banner, finiscono (a loro insaputa) su siti che vendono merce contraffatta. Secondo una ricerca di Digital Citizens Alliance, circa 600 siti illegali possono generare 227 milioni di dollari di ricavi pubblicitari all’anno. Se un sito cinese con server a
Shanghai vende merce italiana, francese o tedesca contraffatta, lo si può oscurare in Italia, ma non automaticamente in tutta la Ue. Per farlo è necessario mandare 27 rogatorie internazionali con relative richieste di sequestro ad altrettanti giudici nazionali. Questi sono i limii spesso denunciati dalla Guardia di Finanza italiana. In Italia, solo l’anno scorso, si sono contati 110mila controlli per 60 milioni di euro di merce sequestrata. E il trend cresce: nei primi 2 mesi del 2015 si sono svolti 15mila controlli per 13 milioni di euro di merce bloccata. (fonte: Il Sole24Ore)