Dopo i riconoscimenti dello scorso anno, pochi giorni fa gli hanno assegnato la medaglia d’oro al Global Music Awards di Los Angeles per la composizione “Toccata”(qui un link dove è possibile ascoltare il brano: https://vimeo.com/146543589), performance e album.
Giuseppe Devastato continua a mietere successi in campo internazionale anche se la dimensione preferita, di questo straordinario pianista e compositore, rimane quella dell’Università dove insegna Piano e Musica da Camera. “L’ambiente dell’Alfonso X El Sabio de Madrid –spiega Giuseppe- è di grandissima professionalità, perfetto per impartire e ricevere un’educazione musicale e personale di alto livello. Con gli studenti e i colleghi è un piacere lavorare ogni giorno”. Originario di Marigliano, provincia di Napoli, dal 2011 in Spagna, Giuseppe Devastato è un nome a livello mondiale per la Scuola pianistica napoletana che rappresenta e interpreta e le sue composizioni continuano a ottenere il massimo dei riconoscimenti. Nel 2014 ha ricevuto la Silver Medal per la sua composizione Hommagè a Mozart e la Bronze Medal per il lavoro discografico The Neapolitan Masters. Pochi giorni fa, altro successo al Global Music Awards, una delle istituzioni internazionali tra le più prestigiose che seleziona i migliori progetti discografici di talenti musicali provenienti da tutto il mondo.
“È stata una sorpresa, mi ero candidato solo ai primi di dicembre e so che ci vogliono almeno 4 mesi perché vengano assegnati i vincitori delle singole categorie. Sono stati rapidissimi, una grandissima soddisfazione. La notizia è così ‘fresca’ che nemmeno so quando mi consegneranno il premio a Los Angeles”, commenta da Madrid.
A gennaio esce anche il suo nuovo disco: il Pianista compositore. Un titolo non casuale.
“Sono brani diversi, un lavoro eclettico, trascrizioni da opere italiane e non solo. Lieder composti da Robert Schumann e rielaborati da Sergio Fiorentino; elaborazioni di Rachmaninoff; l’Andante Finale dalla Lucia di Lammermoor per mano sinistra, op. 13 che è di grande difficoltà di tecnica, e molto altro ancora. Compresi due lavori del pianista S. Thalberg, fondatore della Scuola Pianistica napoletana. A maggio uscirà il Dvd dedicato alla Scuola Napoletana di Thalberg Art du chant applique au piano”.
Giuseppe, è vero che suona a occhi chiusi?
“Sì, la tastiera del pianoforte mi distrae. Non ho bisogno di guardare lo spartito, ho una memoria visiva: imparo le note e non le dimentico. Quello che faccio, suonando, è costruire, rincorrere immagini a seconda del brano musicale. Sono pennellate di colore, tracce ben definite che nascono, si accompagnano al movimento delle mie mani. Sono al piano ma è come se dirigessi un’orchestra”.
Mi faccia un esempio.
“Se suono Rachmaninoff, mi identifico nei tormenti di questo grandissimo compositore. Immagino la campagna russa, il treno che lo porta lontano, il grigiore di quei momenti dà colore alla mia esecuzione”.
È vero che ai suoi allievi insegna la musica con immagini?
“Trovo che sia indispensabile per trasmettere l’essenza di un brano musicale. Costruisco storie, la fantasia accompagna, aiuta a esprimere, volteggia con le note. Oltre che all’Università, mi capita anche di spiegare al pubblico l’intreccio di musica, arte, danza, parole. Lo scambio emozionale funziona molto bene, è una gioia vedere che un brano da me eseguito appassiona, coinvolge, fa anche piangere”.
Come è successo alla Carnegie Hall di New York con la sua composizione Sembazuru Fantasy, in ricordo dello tsunami che colpì il Giappone nel 2011, eseguita assieme alla violinista Sumiko Tajihi. Un altro suo grande successo. E nel 2016 cosa sogna di poter realizzare?
“Vorrei tanto suonare al San Carlo di Napoli. Portando un brano difficilissimo, il terzo concerto di Rachmaninoff: il concerto della mia vita. Ora mi sentirei pronto per eseguirlo. Mi mancano Napoli e il calore della mia gente. A volte la malinconia è così forte che mi chiudo in una stanza ad ascoltare vecchie canzoni napoletane. Peccato che sia così difficile poter suonare il quel tempio della musica!”.
Lei Giuseppe è uno dei talenti più apprezzati a livello internazionali, compone, interpreta, realizza colonne sonore per film, le sue lunghe tournée anche in Cina sono un trionfo. Eppure preferisce definirsi un “missionario della musica”. Perché?
“Suonare è fatica, è sofferenza. Ho un rapporto di odio-amore con la musica, spesso mi sembra di non reggerne il peso, che è davvero grande. Mi applaudono e sento che non sono all’altezza. La ricerca tecnica, musicale e psicologica è un dovere continuo, estenuante, al servizio proprio della musica”.
Patrizia Floder Reitter