Non solo Cristoforo Colombo sarebbe spagnolo e non italiano, annosa e intrigata questione che tanto intriga gli iberici. Anche il carpaccio è diventato una ricetta di cui la Spagna rivendica la paternità. La celebre preparazione a base di carne cruda di manzo, tagliata sottilissima e servita con una salsa chiamata “universale”, fu inventata nel 1950 dal fondatore dell’Harry’s Bar, Giuseppe Cipriani: tutto il mondo lo sa. Come si può leggere, allora, nella rivista gastronomica “M&N Mesa y negocios” che il carpaccio es español? Nella rubrica “Diccionario gastronomico” non hanno dubbi: “Efectivamente, carpaccio es una forma de praparación que nació en España, concretamente en el Harry’s Bar de Valencia, sobre los años 50, por el jefe de cocina Giuseppe Cirpiani”. A
Valencia? Ma se neppure esiste nella Comunidad valenciana un bar che possa portare il nome dello storico locale fondato a Venezia nel 1931, approdo felice di clienti illustri, da Hemingway a Truman Capote, da Orson Welles ad Aristotele Onassis e Maria Callas! Nel libretto “L’angolo dell’Harry’s Bar” scritto da Giuseppe Cipriani, l’inventore del carpaccio così ne spiega la preparazione: “Se voi sfilettate della carne cruda, naturalmente freschissima e tagliata in fettine leggere come fosse un prosciutto, eccovi (con l’aggiunta di un tantino di salsa) il carpaccio. Con il carpaccio gli imbrogli sono proibiti. Il suo segreto è nell’essere interamente svelato, nudo come mamma l’ha fatto. Per questo, non riconoscendone tante qualità, non amo la cucina francese, che predilige invece i cibi in maschera. Come è nato il carpaccio? Alla contessa Amalia Nani Mocenigo i medici avevano ordinato una dieta strettissima. Non poteva mangiare carne cotta e così, per accontentarla, pensai di affettare un filetto molto sottile. La carne da sola era un po’ insipida; ma c’era una salsa molto semplice che chiamo universale per la sua adattabilità alla carne e al pesce. Ne misi una spruzzatina sul filetto e, in onore del pittore di cui quell’anno a Venezia si faceva un gran parlare per via della mostra e anche perché il colore del piatto ricordava certi colori dell’artista, lo chiamai carpaccio.” Nel 1950, infatti, si tenne a Venezia la mostra del grande pittore veneziano, Vittore Carpaccio. Il figlio di Giuseppe Cipriani, Arrigo, sostiene che “di carpaccio ci sono mille e una versione. E forse di più. Una per ogni ristorante del mondo (sia di carne, che di pesce e addirittura di verdura). Il vero carpaccio – ha scritto, aggiungendo qualche altra informazione – è quello inventato da mio padre e consiste in fettine sottilissime di manzo disposte su un piatto e decorate alla Kandisky con una salsa che noi chiamiamo universale. Noi prepariamo il carpaccio con il controfiletto di manzo, un taglio molto saporito e non congeliamo mai la carne prima di tagliarla. Si può chiedere al macellaio di tagliare la carne sottilissima con l’affettatrice, bisogna poi però usarla entro due ore”. Che dire? La tradizione gastronomica divide Italia e Spagna come il calcio? (pfr)