Una analisi effettuata dalla Fondazione Ergo-Mtm Italia, un centro studi focalizzato sull’organizzazione del lavoro, mostra il grado di inefficienza delle nostre fabbriche. Un grado di inefficienza che rende per esempio il nostro sistema dell’elettrodomestico assai lontano da un concorrente come la Spagna, con cui condividiamo il posizionamento su un segmento di mercato industriale di qualità media. Questa analisi economica è di tipo empirico, visto che si basa sui dati raccolti in dodici stabilimenti: tre in Germania, sei in Italia e tre in Spagna. Dunque, entra nel cuore della questione, al di là delle statistiche formali. Il primo elemento interessante considerato dalla Fondazione Ergo-Mtm Italia è rappresentato dal calcolo dell’indice del costo per ora lavorata produttiva. Di solito, per l’Italia e per i Paesi a prevalente contrattazione centralizzata, si ragiona di costo del lavoro basandosi sui riferimenti dei contratti nazionali, in termini di prezzi nominali e di ore lavorate. Invece, il costo per ora lavorata produttiva è depurato da elementi “visibili” nella dinamica del lavoro (le pause e l’assenteismo) e da elementi “invisibili” (il grado di inefficienza organizzativa, rilevata in comparazione agli standard internazionali della metrica Mtm). Il risultato è interessante: oggi nel bianco il costo orario per un operaio italiano è di 20,69 euro; invece, il costo per ora lavorata produttiva è pari a 38 euro. Dunque, quasi raddoppia. La Spagna ha un costo orario per operaio di 22,95 euro: il costo per ora lavorata produttiva sale a 34,9 euro. In Germania il costo orario per operaio è di 34,76 euro e – a sorpresa, dato il mito efficientista che coltiviamo in Italia sul modello tedesco – il costo per ora lavorata produttiva è pari a 61,7 euro. «Anche se – osserva Gabriele Caragnano, direttore della fondazione – la partita non può essere con la Germania. I tedeschi possono permettersi, paradossalmente, questi livelli di inefficienza, dato che riescono a vendere il loro prodotto finito con un premium price molto elevato». Fissato a cento il benchmark astratto, il livello di efficienza del lavoro diretto in Italia è del 54,5 per cento. La nostra industria del bianco lascia sul terreno 45,5 punti percentuali. Interessante la spacchettamento di questo gap dall’optimum
teorico: il 5,5% è imputabile alla così dette rilavorazioni (ossia la fisiologica presenza di prodotti con difetti, dunque da rifare o da sostituire), il 10% alla manodopera indiretta (presente anche in un comparto abbastanza verticalizzata come il bianco) e il 30% a problemi tecnici e organizzativi (carenze dei processi produttivi). Invece, la Spagna può contare su un livello di efficienza del lavoro diretto pari a 65,8 per cento. Oltre undici punti in più. (fonte: Il Sole 24 Ore)