Non la politica e non l’economia, né tantomeno la guerra. È la cultura, e la diplomazia di tipo culturale, l’arma “di massa” per il dialogo, la cooperazione internazionale e la pace, soprattutto per un Paese come l’Italia che in quanto a cultura possiede un esercito senza pari nel mondo. Lo ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso, aprendo il simposio internazionale organizzato dalla Società Dante Alighieri sulla diplomazia culturale, spiegando che “dobbiamo imparare a considerare la cultura come una vera e propria risorsa economica, un bene che, se correttamente gestito, può produrre ricchezza, offrire posti di lavoro, dare opportunità di crescita a tante aree del mondo. E, attraverso il confronto culturale, sarà certamente più facile superare quelle differenze che nella rete di relazioni sociali, politiche ed economiche, sono talvolta causa di incomprensioni”, ma anche sottolineando che Grasso “la difesa delle testimonianze culturali richiede un impegno globale. Organizzando le nostre forze in perfetta intesa, potremmo sconfiggere questa minaccia. La partecipazione di tutti i paesi costituisce un punto di partenza fondamentale per una sinergica attività operativa internazionale. Noi italiani, che abbiamo alle spalle una cultura e una civiltà plurimillenaria, abbiamo il dovere di contribuire alla piena attuazione di queste prospettive di cooperazione. Sono prospettive che ci consentiranno non solo di valorizzare al massimo il nostro patrimonio, ma anche di farci sempre più parte attiva nella promozione di solide condizioni di pace e di sicurezza per tutti i popoli”. Lo sviluppo di una diplomazia di tipo culturale, spiega il segretario generale della Dante, Alessandro Masi, “è una straordinaria occasione per rimettere in moto il Sistema Italia nel mondo per mezzo degli strumenti più efficaci a nostra disposizione, a partire dalla lingua e l’arte italiane”. E l’ex ministro della Cultura Francesco Rutelli ribadisce che oggi “il campo classico della diplomazia culturale è più rilevante che mai. Si consolida, infatti, il valore del patrimonio culturale, delle lingue, della promozione delle produzioni artistiche e dello spettacolo, delle industrie creative, come le loro capacità di promuovere identità, benessere, occupazione e far crescere l’attrattività internazionale di un paese e il suo turismo. Cresce la necessità di proteggere il patrimonio culturale minacciato da distruzioni, da guerre e conflitti etnici e religiosi come da speculazioni e indifferenza. E di combattere e scoraggiare i trafficanti illeciti di arte antica e contemporanea”. Secondo il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello “le ideologie del Novecento hanno sviluppato guerre civili, sono state vere religioni civili che hanno messo in secondo piano il movimento delle idee che si è mosso attraverso la diplomazia culturale”. Di diplomazia culturale parla anche Massimiliano Fuksas, che si concentra prima sulla linguistica (“difendere l’idioma è il primo passo per considerare la globalizzazione non come minaccia ma come una grande possibilità di scambio”) poi sulla sua specialità, l’architettura, che anche quando interviene in contesti stranieri “non vuole mai colonizzare nessuno, anzi diventa parte del luogo dove lavoriamo”. (Fonte: NoveColonne ATG)
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