Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha presieduto assieme al re di Spagna, Filippo VI, e al presidente della portoghese, Marcelo Rebelo de Sousa, l’XI Simposio Cotec Europa, che ha avuto luogo venerdì 10 febbraio al Palacio real El Pardo con il titolo Innovando para una Economía Circular en Europa.
Di seguito, l’intervento completo del nostro presidente.
Maestà,
Signor Presidente della Repubblica,
Signor Commissario Europeo,
Signore e Signori Ministri,
Signori Presidenti delle Fondazioni Cotec di Spagna, Portogallo e Italia,
Signore e Signori,
sono particolarmente lieto di intervenire all’undicesimo Simposio Cotec in questa splendida cornice madrilena e desidero ringraziare Sua Maestà il Re Felipe per il suo gentile invito e salutare molto cordialmente il Presidente della Repubblica Portoghese Rebelo de Sousa.
Consentitemi di rivolgere un pensiero caloroso a Sua Maestà Juan Carlos, iniziatore di un progetto che vede i nostri tre Paesi impegnati, insieme, nel settore dell’innovazione tecnologica, determinante per il nostro futuro.
Un’innovazione volano di sviluppo economico e che, alla luce della straordinaria incidenza che il suo accrescimento ha sulle nostre vite, deve saper essere fattore di progresso sociale.
Le ultime edizioni del Simposio hanno seguito un medesimo filo conduttore, che è andato sviluppandosi nel corso di questi anni, dando modo alle Fondazioni nazionali di lavorare in maniera coerente e sinergica.
Si è partiti dal tema della reindustrializzazione basata sull’innovazione radicale, come fattore trainante di sviluppo dei Paesi Europei. Si sono poi passati in rassegna, negli incontri successivi, i possibili scenari evolutivi dell’industria europea, con particolare riguardo a quelli dei nostri Paesi, caratterizzati da strutture fra loro assai simili e omogenee. Si è cercato quindi di individuare – e gradualmente perfezionare – gli strumenti atti a favorire lo sviluppo di processi innovativi che potessero realmente essere posti al servizio dell’imprenditoria: dagli incubatori di imprese innovative ai parchi tecnologici, dal ruolo dei giovani imprenditori a quello delle Istituzioni.
L’incontro di oggi aggiunge un altro tassello al quadro tracciato sinora, prendendo in esame uno dei settori industriali nel quale l’innovazione gioca- forse più che in altri – un ruolo davvero cruciale.
L’Economia Circolare è un settore ad alta potenzialità che pone sfide rilevantissime ai nostri sistemi produttivi.
Una sopra tutte: valorizzare, nell’innovazione dei processi di produzione e consumo le risorse scartate dalle diverse filiere produttive.
Il successo, in quest’ambito, dipende, più di ogni altra cosa, da un cambio radicale di mentalità, che consenta di considerare risorsa, attribuendole un valore, ciò che sinora è stato considerato residuo di produzione.
Questo sforzo – concettuale, oltre che produttivo – comporta una rimodulazione dei cicli produttivi, un nuovo modo di concepire prodotti e processi tecnologici: in sintesi, una mentalità davvero nuova di produzione e di consumo.
Non vi è dubbio che le Istituzioni debbano cercare di favorire attivamente, a diversi livelli e con misure concrete, queste trasformazioni, che – lo ripeto – hanno conseguenze importanti per la vita dei nostri cittadini. Risulta quindi evidente il ruolo che le tre Fondazioni possono e devono svolgere – con lungimiranza, ma anche con concretezza e slancio – per favorire l’affermazione dei nostri Paesi in quella che, senza dubbio, costituisce una nuova frontiera tecnologica, sociale ed ambientale. Attuare progetti congiunti, integrare e condividere risorse e conoscenze, radicare nei nostri sistemi produttivi una impostazione diversa del “fare industria”, nella quale sia sempre maggiore la consapevolezza dell’importanza di preservare l’ambiente e le risorse naturali non rinnovabili.
Questi compiti rappresentano un pressante dovere – anche civico – oltre che un imperativo economico. In una prospettiva più generale questa “rivoluzione” può essere considerata parte di un mutamento profondo del panorama produttivo, quello che viene comunemente denominato “quarta rivoluzione industriale”. Una industria in grado di sfruttare appieno le potenzialità del digitale e della “rete”, trasformando profondamente luoghi, ambienti e abitudini di lavoro, con un impatto evidente sul rapporto tra società e tecnica. Siamo proiettati verso un futuro nel quale risulta ben evidente che il “lavoro in fabbrica” subirà una profonda e, per molti aspetti, definitiva mutazione, perché la fabbrica stessa, nel suo rapporto con l’uomo, tenderà a trasformarsi profondamente.
Essa è stata il luogo nel quale si è proceduto alla trasformazione della materia prima, facendola passare da un grande materiale indistinto al piccolo delle singole componenti. Questo paradigma ha subito, negli anni, capovolgimenti strutturali rilevantissimi. Si pensi alle nanotecnologie, attraverso le quali si compie un percorso inverso, passando dal piccolissimo al grande.
Anche sotto il profilo del lavoro, l’impatto della nuova rivoluzione industriale sarà – o per meglio dire, è già – di estrema rilevanza. Reti produttive integrate e modelli organizzativi fortemente decentrati comportano necessariamente un ripensamento del rapporto uomo-macchina; un “sapere”, fatto di competenze trasversali, di capacità di interazione, di padronanza di sistemi complessi, costituirà la base della professionalità di ciascuno. Queste trasformazioni, che avvengono giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi e con grande rapidità, necessitano – e sempre più necessiteranno – di importanti ripensamenti nel mercato del lavoro e, soprattutto, nei sistemi di istruzione. Le nostre scuole e le nostre Università saranno messe alla prova per permettere ai singoli di acquisire una formazione che li renda preparati, motivati e aperti al cambiamento. Si tratta di una vera e propria “corsa” tra istruzione e tecnologia, nella quale la prima deve essere in grado di mantenere il passo della seconda. Questa esigenza rappresenta una vera e propria sfida per i nostri sistemi educativi, una sfida che potrà essere affrontata con migliori possibilità di successo se i nostri tre Paesi – alla luce delle grandi affinità esistenti fra le nostre società – sapranno farlo anche insieme, attraverso un continuo e proficuo scambio di informazioni e di esperienze. Questa integrazione, questa osmosi, potrebbe consentirci di elaborare più rapidamente politiche efficaci per accompagnare – anche in termini sociali – i costi di una transizione altrimenti assai ardua, non soltanto per i nostri apparati industriali ma per le nostre società nel loro complesso.
In questo modo potremo cogliere tutte le opportunità, anche sul piano dell’occupazione, che i mutamenti in atto ci offrono. È la risposta attiva che ci permetterà di aumentare la crescita delle nostre economie, integrando reciprocamente le rispettive filiere produttive e combattendo efficacemente la disoccupazione, obiettivo, questo, primario. Rimanere inerti significherebbe uscire gradualmente di scena dai mercati economicamente più interessanti in termini di innovazione – sui quali si affacciano nuovi imponenti protagonisti – ponendo gravemente a rischio il nostro futuro.
È sulla base di queste considerazioni che l’Italia ha deciso di inserire fra le linee direttrici della propria Presidenza del G7 un approfondimento sul tema dell’innovazione e del lavoro nell’era della nuova rivoluzione produttiva e sulla conseguente necessità di adeguamento dei sistemi di welfare e delle politiche attive del lavoro. Le trasformazioni in corso avvengono sullo sfondo di una situazione internazionale nella quale la competizione fra aree economiche va aumentando considerevolmente. Il tema della competitività dei nostri sistemi-Paese continua a essere decisivo, così come quello che riguarda l’Unione Europea nel suo insieme. Non possiamo pensare di poter competere, a livello globale, senza l’indispensabile ausilio dei nostri partner europei.
Nessuno Stato membro, neanche il più attrezzato ed economicamente progredito, sarebbe oggi in grado di navigare, da solo, nelle acque agitate e imprevedibili della competizione internazionale, mantenendo inalterato il livello di benessere acquisito dai propri cittadini.
Anche da questo punto di vista – a pochi mesi dalla celebrazione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma – occorre ribadire, con la più grande fermezza, la necessità di ridare slancio al processo di integrazione europea.
Ci auguriamo che l’incontro di Roma, il 25 marzo prossimo, possa segnare l’avvio di un “nuovo inizio”, nel quale possano riconoscersi non soltanto le Istituzioni e i Governi degli Stati membri, ma prima di tutto i cittadini. E una nuova partenza dovrebbe avere fra i suoi obiettivi anche il rafforzamento di uno spazio europeo della ricerca e dell’innovazione sempre più efficiente, nel quale le nostre tre Fondazioni possano svolgere un ruolo di primo piano, fungendo da catalizzatore per esperienze simili in altri Paesi dell’Unione, ma anche – guardando alla Regione mediterranea – al di là dei confini europei.
In quest’ottica, dobbiamo riuscire a cogliere le opportunità che il modello dell’economia circolare ci offre per contribuire allo sviluppo tecnologico, industriale e sociale dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Le esperienze produttive dei nostri Paesi possono, infatti, essere messi utilmente a disposizione di quelli dei Paesi dell’opposta sponda, in modo da assicurare il riuso e la rielaborazione di materiali, prodotti e sistemi in un circolo virtuoso di crescita e sviluppo da cui tutti potremo trarre beneficio. Alleviando, altresì, le pressioni cui le nostre società sono oggi sottoposte in ragione di flussi consistenti di migranti definiti economici.
Mi auguro che questi temi possano entrare nell’agenda di lavoro delle tre Fondazioni e che presto si possano iniziare a raccogliere i frutti di questa attività.
Lo sviluppo delle capacità di ricerca e innovazione rappresenta uno strumento decisivo per vincere la sfida della crescita e offrire lavoro, specialmente alle giovani generazioni. L’impegno congiunto delle Cotec nazionali – e una loro più stretta collaborazione – potrà certamente imprimere nuovo slancio alla ripresa delle nostre economie, motivando i nostri imprenditori più dinamici e creativi all’incremento dei livelli di investimento in ricerca e innovazione.