Se c’era una cosa per cui impazziva Elisabetta Farnese, regina di Spagna e madre di Carlo di Borbone, erano le “bombe di riso”, dove si racchiude un intingolo di carne di piccione con funghi o animelle. La consorte di Filippo V ne era così ghiotta da
richiedere al suo primo ministro, cardinale Giulio Alberoni di origini piacentine, di far trovare sempre la “Bomba di riso” sulla tavola reale unitamente ad altri prodotti piacentini.. Tra le cucine dei Savoia, invece, la Francia era di casa, in un trionfo di piatti a base di carni e brodi. Pare, addirittura, che un certo Teofilo Barla, ai tempi di Carlo Alberto, avesse inventato un “elixir” di foglie di coca e noci di cola, precursore della celeberrima bevanda. Storia d’Italia, storia di cibo e primizie, di “Maitre patissier” e “monzù”: le nobili casate del Belpaese, raccontate attraverso le loro ricette più originali, simbolo di mode, tendenze e di una cultura gastronomica sempre più raffinata, contaminata da gusti europei, con qualche ammiccamento ai sapori speziati esotici. Ecco gli “Aristopiatti”, descritti nel volume di Lydia Capasso e Giovanna Esposito (Guido Tommasi editore), con illustrazioni di Gianluca Biscalchin. Settantadue ricette, per sei aree geografiche dello stivale, farcite di aneddoti e curiosità legate ai gusti di marchesi, reali, papi e cardinali. Un’ulteriore sezione è dedicata proprio ad una serie di “piatti di famiglia”, tramandati per generazioni. E se Vittorio Amedeo II di Savoia era ghiotto di “gherssin” antesignani dei grissini, Leone X non disdegnava un buon rosso, mentre Caterina de’ Medici ha avuto il pregio di insegnare ai francesi l’uso della forchetta. Come sempre, Napoli, è un universo a parte, tra antiche ricette popolari, amate da Ferdinando IV, e raffinatezze d’Oltralpe, preferite dalla moglie Maria Carolina. Qui, tutto passa sotto la livella della “napoletanità”. Persino i nomi delle portate: il “gateau” diventa gattò e il “sur tout” sartù.
Una ricetta eccola qui, direttamente dagli Aristopiatti: Gattò di ricotta dolce
800 g di ricotta preferibilmente di pecora, compatta o ben sgocciolata 230 g zucchero 5 uova medie cannella estratto liquido di vaniglia o i semi di un baccello di vaniglia gocce di cioccolato zuccata burro o strutto per ungere lo stampo + pangrattato mandorle o pistacchi tritati finissimi (facoltativi)
Mescolare la ricotta con lo zucchero e farla riposare in frigo per una notte. Aggiungere al composto i tuorli, uno ad uno, incorporandoli bene. Profumare con cannella e vaniglia. Montare gli albumi a neve ferma e aggiungerne alla ricotta un terzo per ammorbidire il composto, poi il resto delicatamente, sollevando la massa con una spatola, dal basso verso l’alto, per non smontare gli albumi. Unire le gocce di cioccolata e la zuccata a dadini. Ungere lo stampo e rivestirlo di pangrattato, se si desidera mescolandolo con mandorle o pistacchi finissimamente tritati. Versare nello stampo il composto, livellarlo e infornare a 210° per circa 40-45 minuti. Fare attenzione perché la superficie tende a bruciare, quindi meglio infornare nella parte bassa del forno spostando in alto lo stampo prima della fine della cottura. Infilare uno stuzzicadenti nel dolce per verificare che sia cotto. Si gonfierà molto, come un soufflé. Una volta sfornato tenderà ad abbassarsi, ma è normale che avvenga. È più buono se consumato tiepido.