Sulla scia della lezione del primo Visconti, anche il regista Francesco Rosi scomparso lo scorso 10 gennaio all’età di 92 anni, si è dedicato all’incontro tra cinema e melodramma. Fortemente radicato a una poetica realistica, Rosi ha scelto non a caso
un testo già fortemente “cinematografico”: la “Carmen” di Bizet che vive di passioni intense, personaggi dai contrasti netti e un ambiente fortemente caratteristico. Se gli eroi di altri melodrammi appaiono improponibili, Carmen e i suoi amanti regalano agli spettatori forti emozioni e modelli in cui immedesimarsi, da riconoscere o perfino da temere. Collocate da Rosi in un contesto realistico, tutte le scene (sia gli interni che gli esterni) sono girate in ambienti naturali: in questo modo si rende evidente come, pur adattando un’opera al cinema, si possano comunque recuperare gli elementi autentici della vita spagnola del tempo. Il film, interpretato da Julia Migenes-Johnson (Carmen), Placido Domingo (don José) e Ruggero Raimondi (Escamillo), è stato distribuito dalla Gaumont e uscì nelle sale italiane il 20 settembre 1984. Il film nel 1985 vinse sei David d Donatello: miglior film, miglior regia, miglior fotografia, miglior scenografia, migliori costumi, miglior montaggio. Per entrare nello spirito dell’opera, Rosi ascoltò per mesi la musica di Georges Bizet. Si ispirò inoltre al romanzo Viaggio in Ispagna del barone Charles Davillier, illustrato da oltre 300 disegni di Gustave Doré nei quali Rosi ritrovò il mondo di Sierra de Ronda. Questa “Carmen all’aria aperta”, come la definì Giovanni Grazzini sulle pagine del “Corriere della Sera” il 6 settembre 1984, soddisfò i critici italiani fin dalla sua prima apparizione alla Mostra di Venezia. In Francia il film divenne subito una “moda culturale” e il medesimo fenomeno si verificò qualche mese più tardi anche negli Stati Uniti; toni molto calorosi si ritrovano anche nella stampa inglese del tempo. Rosi intuì che un’opera deve rimanere tale, non essere sfigurata, pertanto seppe portarla sullo schermo riconducendola sì a una sensibilità contemporanea, ma senza strapparla dalle convenzioni tipiche del teatro in musica: il regista ha dunque rispettato gli intendimenti originari di Bizet per creare dall’opera un film vitale. Si è quindi di fronte a uno spettacolo dai forti contrasti luminosi, da una vivacità tipicamente mediterranea, generoso e ricchissimo di particolari che rivelano i pregi della fotografia di Pasqualino de Santis, della scenografia e dei costumi di Enrico Jobs e della coreografia di Antonio Gades. Si potrebbe discutere all’infinito sulla scelta realistica, ma almeno a livello figurativo il risultato è sontuoso. (fonte: https://it.over-blog.com)